Si è svolto a Cagliari lo scorso martedì 19 dicembre, presso la Sala Torretta dell’EXMA, l’incontro “Pratiche di meraviglia. Il patrimonio culturale, un laboratorio di nuove governance e innovazione digitale”.
Promosso da Imago Mundi OdV, col patrocinio del Ministero della Cultura e della Regione Sardegna, l’incontro ha visto diversi protagonisti portare il proprio contributo alla discussione sulle nuove forme di governance pubblico/privato e sugli aspetti legati alla natura giuridica dei soggetti del Terzo Settore. Tra questi, l’intervento su “L’esperienza della Fondazione Archeologica Canosina (F.A.C.)” tenuto, da remoto, dal dott. Luigi Di Gioia, in collegamento dalla Puglia.
Luigi Di Gioia, esperto di gestione e valorizzazione dei beni culturali, in qualità di ex Segretario Generale della Fondazione, ha ragguagliato gli interlocutori presenti in merito all’evoluzione della F.A.C. sotto gli aspetti giuridici, dalle origini alla recente riforma del Terzo Settore, individuando tre fasi di sviluppo.
«La Fondazione, costituitasi nel 1993 con la sottoscrizione dell’Atto costitutivo e dello Statuto da parte di 17 soci, è stata l’espressione di una esigenza profondamente sentita da un gruppo eterogeneo di cittadini per i quali era doveroso ed inqualificabile che il patrimonio archeologico del territorio canosino non fosse adeguatamente tutelato e valorizzato. In questa fase iniziale (1993-2000)» ha sottolineato Di Gioia «la F.A.C. è stata una tradizionale fondazione di diritto privato che non si è posta, allora, l’obiettivo di gestire e valorizzare il patrimonio archeologico e museale locale, nonostante sia membro di diritto nel Consiglio di Amministrazione il Sindaco pro tempore della città, bensì scopo principale è stato quello di “promuovere ogni opportuna iniziativa perché la città sia dotata di una adeguata struttura museale a carattere nazionale”. Nel 1994 la sottoscrizione della “Convenzione” tra la F.A.C. e la Soprintendenza, ha portato quest’ultima alla disponibilità, ad uso gratuito, di Palazzo Sinesi, per destinarlo ai suoi uffici periferici, sale espositive, laboratorio per il restauro, deposito temporaneo di reperti archeologici. Il felice rapporto di collaborazione intercorso fra cittadini volontari e Soprintendenza ha di fatto favorito un inedito connubio, unico per il Sud Italia in quei tempi, tra pubblico e privato nella creazione e gestione di uno spazio museale espositivo, attivo e dinamico ove, negli anni a seguire, si sono allestite numerose e interessantissime mostre archeologiche (prima che lo stesso palazzo diventasse sede del Museo Archeologico Nazionale con la riforma del Ministero avvenuta del 2014)».
Proseguendo nella sua relazione, Di Gioia ha affermato che «la prima svolta nella storia della F.A.C. è arrivata nel nuovo millennio. Innanzi tutto nel 2001 la Fondazione ha ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica, in qualità di organizzazione non lucrativa di utilità sociale (ONLUS), iscrivendosi nel ‘Registro Regionale delle Persone Giuridiche Private’, grazie all’approvazione di nuovo Statuto che ha previsto: una nuova mission, la figura del ‘socio partecipante’ (che ha trasformato di fatto la F.A.C. in una “fondazione di partecipazione”), aprendo alla possibilità di affidamento della gestione del patrimonio archeologico e museale della città (poi reso possibile dall’adesione nel 2002 del Comune di Canosa alla Fondazione e dalla stipula del primo Contratto di Servizio, nel 2007, per la gestione del patrimonio culturale comunale, nonché dal Protocollo d’Intesa sottoscritto col ministero competente nel 2009)». E precisa ancora:«Ha preso così definitivamente il via una nuova fase della F.A.C. (2001-1019), da più parti sollecitata: occuparsi, non solo ed esclusivamente dei reperti archeologici mobili, ma anche dell’enorme patrimonio archeologico e monumentale della città. Con la stipula del ‘Contratto di Servizio’ e con il ‘Protocollo d’intesa’, l’impegno organizzativo, economico e finanziario della F.A.C. si è concentrato maggiormente sulla gestione e manutenzione ordinaria del patrimonio archeologico ad esso affidato: un enorme patrimonio, prima in stato di abbandono, in una città che fino a tempi recenti ha considerato l’archeologia un fastidio e un intralcio. Un impegno sempre crescente, in quanto aree e siti archeologici da gestire si sono accresciuti col tempo nel numero, grazie a nuove acquisizioni da parte del Comune, ad accordi e convenzioni con privati o enti, nelle cui proprietà insistono emergenze archeologiche da tutelare e rendere fruibili».
E si giunge così verso la fase attuale dell’istituzione (2020 ad oggi). «Nel corso del 2018 e nei successivi mesi del 2019» racconta Di Gioia «si è registrato un ampio dibattito nel mondo dell’associazionismo e tra gli addetti ai lavori a seguito del d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117 (c.d. ‘Codice del Terzo settore’). Per ottemperare alle nuove disposizioni normative il CdA della F.A.C. ha nominato una commissione tecnica che ha lavorato per individuare la forma giuridica da assumere e per elaborare le opportune modifiche da apportare allo statuto. La nuova normativa ha posto una serie di interrogativi per la fattispecie delle fondazioni, in particolar modo nella formula ‘fondazione di partecipazione’, perché non tutte sono destinate ad entrare nel Terzo settore . In particolare, l’art. 4 del Codice delimita il perimetro evidenziando che«non sono enti del Terzo settore le amministrazioni pubbliche […] nonché gli enti sottoposti a direzione e coordinamento o controllati dai suddetti enti», pertanto una fondazione non deve essere sottoposta a direzione e coordinamento o controllata dalle amministrazioni pubbliche, ovvero sottostare alla potestà dell’ente pubblico di nominare la maggioranza dei componenti del Consiglio di Amministrazione». Luigi Di Gioia, che ha partecipato nel 2019 ai lavori della Commissione, sottolinea che: «dallo statuto della F.A.C. approvato nel 2017 si è evinto che nessuno degli enti pubblici esercitava una funzione dominante o di controllo sulla governance dell’ente. Inoltre, l’art. 23 del Codice dispone, infatti, che lo statuto delle fondazioni del Terzo settore debba prevedere la costituzione di un organo assembleare o di indirizzo, nonché la possibilità di accogliere, nel corso della vita dell’ente, nuovi associati. Entrambe le disposizioni erano già previste dallo statuto 2017 della F.A.C. Il nuovo Statuto, appositamente rivisto e modificato, approvato il 3 luglio 2020, rispondendo ai principi ed allo schema giuridico della Fondazione di Partecipazione, disciplinato dagli artt. 12 e segg. del Codice civile e dal d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117, ha permesso l’iscrizione al R.U.N.T.S. (Registro Unico Nazionale Terzo Settore) , assumendo la propria denominazione in “Fondazione Archeologica Canosina – ETS, Ente del Terzo Settore – Ente Filantropico”».
«Pertanto» precisa Di Gioia «La F.A.C. si configura oggi quale “Fondazione di partecipazione”. Questo istituto presenta alcune particolarità, dovute al fatto di coniugare l’aspetto personale (nonché democratico e partecipativo), proprio delle associazioni, con quello patrimoniale, tipico delle fondazioni classiche. Si tratta di un soggetto giuridico, senza scopo di lucro, al quale oggi partecipano più soggetti: Comune di Canosa, Provincia BAT, Regione Puglia, Banca di Credito Cooperativo, fino ai tantissimi semplici cittadini (persone fisiche, con una quota associativa pari a 50€) che possono essere protagonisti, attraverso l’assemblea elettiva, negli organismi di governance (Presidente della Fondazione, Consiglio di Amministrazione, Collegio dei revisori dei conti, Comitato scientifico, Presidenti onorari, Collegio dei Probiviri). La F.A.C. ha trovato piena cittadinanza tra le forme di Enti del Terzo Settore prescritte dal d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117».
In conclusione, Luigi Di Gioia ha tenuto a sottolineare alcuni aspetti, ritenuti molto utili nel corso del workshop, relativi all’istituto della “fondazione di partecipazione”:«è una formula non-profit diffusasi nella gestione del patrimonio culturale degli enti locali sulla base dell’applicazione del “Testo Unico Enti Locali – Tuel” in conformità con le prescrizioni del “Codice dei Beni culturali e del paesaggio”, del “Codice del Terzo Settore” e del “Codice civile”, ispirandosi agli obiettivi e ai principi della “Convenzione di Faro”, che può costituire un tentativo di costruire un modello italiano di gestione dei beni culturali locali che da una parte eviti processi di privatizzazione o di alienazione, e dall’altra consenta, grazie al coinvolgimento di larghi strati della comunità locale, dalle istituzioni e ai semplici cittadini, un’ampia partecipazione all’enorme progetto di rivitalizzazione del nostro patrimonio periferico attraverso una gestione “dal basso” e “non-profit”. Un modello potenzialmente in grado di garantire un equilibrio tra la natura pubblica del patrimonio culturale e una sua efficiente gestione, valorizzazione e fruizione».
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